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Commitment to innovation.

Silvia Colombo

Direttore Tecnico Laboratorio Microbiologia e Genetica

Come sei arrivata in LabAnalysis?

Io ho incominciato la mia carriera come ragioniere, forse anche un po’ per via del lavoro di mio padre. In quinta superiore però, ho capito che la banca non era la mia vocazione, e ho quindi deciso di intraprendere la carriera universitaria come tecnologo alimentare. Mi sono laureata nel 2000, ho trascorso un anno come ricercatrice presso l’Università di Milano. Inizialmente, avevo l'intenzione di proseguire nel mondo accademico, ma ben presto ho capito che le opportunità universitarie erano limitate senza il giusto sostegno. Il mio relatore mi ha quindi indirizzato verso un ex dipendente di ChemService (ora LabAnalysis Life Science) nel settore alimentare. Successivamente ho svolto uno stage breve nella grande distribuzione, ma ho presto compreso che l'ambiente d'ufficio non faceva per me.

Quando si è presentata l'opportunità di sviluppare il reparto di microbiologia in ChemService, sono stata inserita nel reparto della qualità su suggerimento della consulente. In quel ruolo, mi occupavo della redazione delle procedure e della gestione dei metodi. Nel 2002, dopo un'ispezione finalizzata all'accreditamento dell'area microbiologica, che all'epoca non era ben strutturata, mi è stata offerta una posizione permanente con l'obiettivo di organizzarla. Lì sono partita da tecnico insieme alle mie due colleghe, Olimpia e Monica, che ancora adesso lavorano con me.

L'anno successivo, abbiamo ottenuto l'accreditamento e da quel momento è partita l'escalation della microbiologia. Da un singolo laboratorio con tre persone, è gradualmente cresciuta fino a diventare una struttura più ampia, anche a livello di spazi fisici. Nel frattempo, ho assunto anche la responsabilità della parte GLP della microbiologia, diventando Direttore di Studio.

Cos’è cambiato con l’arrivo della nuova direzione?

Principalmente direi che è cambiata la prospettiva, sia quella di crescita professionale e personale, che quella avere la possibilità di fare anche qualcosa di diverso. Anche lo stile è profondamente diverso, molto più giovane e dinamico. 

Io personalmente sono molto soddisfatta; alla fine si sa che da soli non ce la si può fare quando si hanno dei competitor molto grossi: o sei un mago o non ce la fai. Diciamo che è stata una bella sfida il cambiamento, con dei personaggi con delle personalità forti, belli “piazzati”, insomma, no? Quando sono diversi anni che lavori in un certo modo, in cui sei abituato a prendere decisioni da solo, con un capo che entra nel merito delle cose molto da lontano, non nego che c’è stato bisogno di un attimo di assestamento al cambiamento di trovarsi di colpo ad avere un capo presente, che viene spesso coinvolto anche nelle cose più piccole.

Però devo dire che sono contenta, alla fine si instaura un rapporto anche di fiducia reciproca, cioè io mi fido, perché è una persona che mantiene la parola data. Sono delle persone che io ritengo decisamente intraprendenti, tutti, cioè anche il professore è fantastico, un mito.

Se ti chiedessi di completare la frase: l'arrivo di LabAnalysis Group ha portato?

Innovazione e freschezza, nel senso che, quando si opera come laboratorio autonomo, si tende a guardare solo dentro alle proprie mura. È difficile aprirsi ad altri laboratori perché spesso non sono propensi a condividere le proprie esperienze. Questo mi ha fatto sentire sola nel campo della microbiologia, dato che la maggioranza dei colleghi era composta da chimici.

Fortunatamente, anche grazie all'arrivo della mia collega, Maria Chiara Neri, e di altri biologi, abbiamo apportato una nuova prospettiva al gruppo. Nonostante le critiche verso i biologi, il confronto con altre sedi microbiologiche, pur con le difficoltà caratteriali inevitabili, è stato costruttivo. Sì, è stato e continua ad essere costruttivo. Ogni sede vive le proprie sfide, ma con un approccio al lavoro diverso. Forse meno legato alla mentalità lombarda, ma comunque altrettanto efficace. È stato interessante affrontare le problematiche e i carichi di lavoro con un'ottica diversa, cercando di vedere il lato positivo delle sfide che incontriamo.

Qual è la lezione più grande che hai imparato gestendo il tuo team?

Ascoltare e osservare. Ogni persona è un individuo unico, con ognuna devi parlare e rapportarti in un modo diverso. A volte devi un po' leggere fra le righe, e invece a volte ci sono persone che parlano fin troppo, insomma. Quando lavoravo in laboratorio, prima di trasferirmi in ufficio, osservavo attentamente il comportamento delle persone anche da una prospettiva esterna. Questo mi permetteva di cogliere dettagli e individuare possibili miglioramenti, soprattutto dal punto di vista logistico.

Un’altra cosa che ho imparato, grazie a mio marito, è che se dico una cosa è quella. Mai rimangiarsi la parola data, posso anche pentirmi di averla detta, ma quella rimane. Mio marito ha sempre detto di cercare di ascoltare senza provare a finire la frase dell’interlocutore. Perché lui inizia una frase, io posso solo immaginare cosa voglia dirmi e gli rispondo con il mio pensiero, ma in realtà mi sta chiedendo o dicendo un'altra cosa.

Quando si tratta di dirigere o organizzare, è importante capire, ascoltare e comunicare con chiarezza. Anche se il mio approccio naturale non è sempre stato quello di ascoltare attentamente, ho imparato quanto sia cruciale per il successo e il benessere dell'organizzazione.

Quali sono le persone che ti hanno influenzato maggiormente, sia in ambito lavorativo che personale?

Allora, se io penso, dall'inizio, è sicuramente Lucia Chiappetta che era responsabile della qualità e del laboratorio. Lucia mi ha aiutato ad avere una visione sull’ approccio al lavoro. Nel senso che, uscendo dall'università, si ha una logica che non c'entra niente con il lavoro. E questo penso lo dicano tutti. Però il modo di affrontare il lavoro, te lo dà una persona che già lavora. Un’acquisizione per osservazione insomma.

Sulla sfera personale devo fare una precisazione, se guardo l’etica del lavoro allora sicuramente mio papà, il lavoro prima di tutto. La sua etica, il suo modo di lavorare me l’ha sempre trasmesso. Invece se guardo l’approccio/atteggiamento sul lavoro è il mio consorte. Mio marito fa il dirigente scolastico in un liceo, per cui ha a che fare con i ragazzi in età adolescenziale (e con i relativi genitori) oltre che con una schiera di insegnanti e personale annesso e si trova a dover approcciare le situazioni più diverse. È da lui che ho imparato il modo di pormi.

Sono tante le persone che non mi hanno insegnato il lavoro, ma mi hanno insegnato a lavorare, che è forse un po’ diverso.

Come vedi lo spostamento nella nuova sede di Origgio?      

La sede nuova è sempre stata un desiderio e un’esigenza che portiamo avanti da tempo.
È sicuramente una sfida, l’inizio di qualcosa di nuovo. Una delle prime cose che ho detto alla nuova direzione quando hanno acquisito la precedente azienda, è stata la necessità di avere sempre qualcosa di nuovo. Perché io, a fare sempre le stesse cose, dopo un po’ mi annoio, ho bisogno di stimoli. E questo si rivede tutt’oggi nei ruoli che ricopro.
Io amo i cambiamenti e quindi si, Origgio per me è assolutamente un cambiamento in positivo!

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